CORPONOVE Edizioni ( settembre 2015 )

 

di MERAVIGLIA

Un ricordo dell'ostetrica Meraviglia Martani

attraverso l'evolversi della società italiana

 

 

Prefazione ( a cura di Silvana Milesi )

Una meraviglia di ostetrica completamente dedita al suo compito


E se siamo fedeli al nostro compito arriva al cielo la nostra statura
Emily Dickinson

     Di Meraviglia è un titolo, è un nome, è un procedere di stupore in stupore sin dall’inizio del libro, quasi da fiaba. Spesi i suoi lunghi anni a “levare” dal grembo materno le nuove creature della vita, con piedi leggeri corre librandosi nell’aria come se invisibili ali a poco a poco le fossero spuntate. Voli e voli tesi verso l’alto forse accordandosi con Lucina, la dea del parto, per esser “levata dalla vita” in una data precisa: il 21 giugno, equinozio d’estate, festa di San Luigi, il nobile giovinetto Gonzaga, che aveva dato il nome al padre e al figlio di lei, la signora Meraviglia, ostetrica, che così dipartendosi ci rende più certi che esiste una dimora immortale. È l’anno del Signore 2014.
     Scorre a ritroso il fiume della sua vita nel racconto della figlia Nunzia, appassionata di letteratura e pittura, quando, smesso il lavoro nel negozio di famiglia e “vestiti i panni reali e paludati”, come soleva fare Machiavelli per rispetto dell’arte, compone poesie di parole e di colori che, inserite nel libro, assumono un significato nuovo divenendo un tutt’uno con la vita della madre, Meraviglia Martani, levatrice, prima a Dossena, poi a Zogno.
     I fiumi sono una parte viva del suo paesaggio. Il fiume come metafora della vita, apre il terzo capitolo: «La vita scorre, come un fiume a volte lento, a volte veloce, con cascate grandi e piccole, rapide. A volte è il caso di remare, altre di rimanere fermi; spesso bisogna tenersi alla canoa per non catapultare, altre volte ci si può sdraiare a guardare il cielo, le nuvole, il sole, le stelle, la luna, ma non fermarsi assolutamente mai perché ognuno deve raggiungere la propria foce».
     E ancora il fiume, anzi due fiumi, l’Oglio e il Po, troviamo al fine del narrare a ritroso che giunge alla sorgente, due fiumi che presiedono alla nascita e al germogliare di una meraviglia di mani: «Le mani, le sue mani, quelle belle mani che tanto hanno realizzato, germogliano qui, tra il fiume Oglio ed il Po, mani fra centinaia di mani, mani che crescono tremando, ma che man mano prendono coraggio e si rinforzano e si fanno strada nella vita, una meraviglia di mani che moriranno tremando lasciando dietro di sé incisivi gesti di partecipazione e solidarietà».

     Questo poetico intercalare dell’autrice, ha un cuore forte e talvolta sconvolgente, un cuore pulsante della vita delle donne che, ancora nel secolo appena trascorso, in gran numero morivano nel dare alla vita nuove vite. Nel parto vita e morte talvolta si sfiorano e duellano, così come la nostra uscita nella morte sarà un ingresso alla vita senza fine. Con Emily Dickinson possiamo dire che il movimento in una casa all’indomani di una nascita o di una morte è solenne e sacro più di tutte le faccende che si compiono al mondo. E nella nascita la bellezza è la vita che svela il suo volto sacro.

      Ora pensiamo sia bene dare al lettore qualche ragguaglio semplicemente biografico, prima che si inoltri nel racconto in cui l’autrice, con la spontaneità di una voce narrante, riesce a trovare i fili del passato, a raccoglierli, a snodarli e a dispiegare di pagina in pagina la vita di una “levatrice” che dal 1937 si chiama «“ostetrica”: “colei che sta davanti”, dal latino “obstat”», ed anche colei che sta accanto, sempre vigilando sulla salute della madre e del bambino, con tutta la sua personalità, responsabilità, professionalità, talvolta sacrificando persino la propria famiglia per non venir meno alla sua missione.
     Nel racconto si infittisce una trama di voci, di nascite, di battesimi, di sentimenti, di relazioni, del prorompere del dolore e della gioia, di avvenimenti storici e del mutamento rapido di un’epoca. E poi è la saga di una famiglia, della povertà che fa dell’istruzione il suo riscatto a costo di grandi sacrifici, fra la tragedia di due guerre e un Ventennio che esalta le ingenue scolarette, compresa Meraviglia, di sincero e ardente amor patrio.
     Si racconta l’amore, le lettere del marito di quando erano “amorosi”, lettere bellissime, dolci e sensibili. Si narra la gioia di ballare, la gioia di vivere, il dolore della morte, vissuto in silenzio con stoica sobrietà, non trascurando nemmeno un giorno l’assistenza alle madri affidate alla sua nobile professione. Sono madri felici di generare e rigenerare la vita, madri di tragica pietà, madri coraggiose, povere, impaurite per la sorte dei figli, ma tutte pervase da un uguale afflato d’amore materno.

     La nostra Meraviglia nasce dunque nell’Anno del Signore 1930 a Voltido, nella pianura cremonese. È la seconda di quattro figlie di mamma Adele, ruggente leonessa, nata nell’agosto del 1903, e di papà Luigi, agricoltore, classe 1899, che una malattia contratta in guerra se lo porterà via nel 1937. Sono poveri in canna. Di trasloco in trasloco si stabiliscono a Piadena, in via Mazzini al numero otto. Guerra prima e guerra dopo. Povertà assoluta, malattie, lavoro e fatica. La Meraviglia a sei anni si ammala di tubercolosi, guarirà da sola. Ha solo dodici anni quando la loro casa è occupata dai tedeschi.
     Meraviglia lavora in fabbrica, va a scuola di ostetricia a Parma, non prima di aver distribuito il latte. Si susseguono le stagioni, scandite con sguardo poetico dall’autrice. Arrivano gli Anni Cinquanta. La nostra Meraviglia si diploma “ostetrica”. È il 23 agosto 1952. È giovane e piena di belle speranze. «Si ha vent’anni solo una volta - scrive Nunzia - e quando poi si è innamorati, la felicità mette le ali e crescono fiori al nostro passare e l’aria è profumata... Sì, il suo paese le piace, ma quando vince il concorso per una provincia di “montagna”, non ha tentennamenti. E poi il suo innamorato è come lei, gli piacciono le avventure, vuole conoscere altri luoghi, fare nuove esperienze ». Sul Galletto beige, una bella moto oggi “storica”, la Meraviglia ed il suo amato giungono a Dossena, paese bellissimo su un poggio che guarda la valle, dove avrebbero trascorso gli anni più belli della loro vita.

     L’appartamento assegnato alla “comàr” è nel municipio, all’ultimo piano. Si respira un’altra aria. Alle spalle rimane l’infanzia difficile e la guerra. A Dossena gli uomini emigrano in cerca di lavoro, le donne mandano avanti la famiglia e il lavoro nei campi.
     La nuova ostetrica fa la conoscenza del sindaco e del prete. Le viene consegnato “il regolamento organico per le ostetriche condotte”, tutto da leggere perché dice molte cose di quel tempo. La gente è molto rispettosa della «signorina levatrice che gira per le mulattiere con certe scarpettine dai tacchetti incredibili». La signorina ha ormai ventisei anni. Le nozze con il suo amato, a Piadena il 4 giugno 1956.
     L’anno dopo, d’autunno, «un autunno ambrato e soleggiato», nasce la loro figlia e nel 1958 la nostra Meraviglia vince il concorso per la condotta di Zogno, dove trascorrerà il resto della sua vita.
     La lettera rispettosissima del 15 settembre 1959 dell’allora medico condotto, dottor Pesenti, rivela la stretta sintonia fra medico e ostetrica per la miglior cura dei pazienti.
     L’ostetrica Meraviglia, detta familiarmente Viglia, è seria, coerente e preparata. Con il proprio stetoscopio, ed ancora prima con il fonendoscopio, oggetto magnifico in legno leggero, ausculta il battito fetale. C’è tanta felicità, ma ci sono situazioni difficili da affrontare, quando nascono bimbi con malformazioni o sindromi varie. Qui lo stare accanto è un condividere amarezza e sconforto, è sempre un agire per la vita e il sentire necessaria la fede nel mistero di Dio.
Ancora negli anni Sessanta, i parti a casa erano frequenti. Nei casi difficili si ricorreva al forcipe o al cesareo. Si ha una vaga notizia di un cesareo praticato dalla signora Meraviglia in casa non avendo altra scelta. Col fiato sospeso e col cuore commosso si legge questa pagina e quella dedicata ad un libretto dedicato al parto cesareo in Africa.
     Fino a tutto l’Ottocento, il taglio cesareo con esito favorevole era un evento raro anche nei paese cosiddetti civili. Pur di salvare il bambino si lasciava morire la madre. E la donna era preparata e consapevole dell’eventualità di dover morire, dando la vita.
Non manca un pensiero alle nostre bisnonne che lavoravano nei campi, o nelle prime filande, fino al nono mese, in un susseguirsi innumerevole di gravidanze.

     Dai fittissimi diari della signora Meraviglia, fedelmente riportati in alcune pagine esemplari, c’è molto da imparare. Non si interrompe lo scrivere nemmeno quando il marito, il 30 agosto del 1979, muore d’infarto. Resta sola. Il figlio compie sedici anni il 4 settembre, sei meno della figlia. Sul diario le solite annotazioni di «bagnetti, accompagnamenti in ospedale; il 14 settembre nasce una bambina... muore poche ore dopo, in culla in ospedale, e ancora iniezioni, vaccinazioni, prelievi, flebo, consultorio pediatrico».
     La levatrice Martani, mentre aiuta i figli a colmare il posto vuoto lasciato dal padre nella “Ferramenta” di famiglia, continua la sua passioneprofessione di “ostetrica condotta”. Nonna Adele, che aveva imparato a leggere alla televisione dal maestro Manzi, tenendo accanto la piccola Nunzia con il suo inseparabile album di disegno, sarà autorevole presenza e parte inscindibile della famiglia fino agli anni Ottanta.
     L’ostetrica Meraviglia continuerà ancora per anni a far da ponte fra le donne, ognuna e tutte, una e molte, poi si chiuderà nell’ultima stanza della sua inaccessibile torre, avendo contatti diretti soprattutto con i suoi amici uccelli. In attesa!
     Non si dimentica Nunzia di scrivere che il numero primo della signora Meraviglia è: 30829. Né si dimentica di spiegarne il significato prima di inoltrarsi nell’appendice di sue poesie strettamente legate alla vita della sua meravigliosa mamma.

 

( ho ancora un po' di copie a disposizione, per chi volesse averne una sarò felice di fargliene dono )