Il lunedì visitiamo il MoMA. The Museum of Modern Art fu ideato da Rockefeller appunto, che iniziò a collezionare opere d’arte nel suo appartamento sulla quinta Avenue angolo cinquantasettesima, insieme ad altri lungimiranti ricchissimi uomini d’affari: e vai con Gauguin, Monet, Picasso, Mondrian, Pollock, Warhol, Rotko, dando così inizio al primo museo d’arte contemporanea al mondo.
Passeggiamo attraverso le sale, le opere sono disposte bene, illuminate quanto basta, si può fotografare. Ecco la notte stellata di Vincent e le signorine d’Avignon di Pablo che in verità sono le prostitute di Barcellona.
Dialogheranno Picasso e Van Gogh? Pablo inviterà Vincent nel suo studio, ma quest’ultimo si tirerà indietro e senza farsi vedere si taglierà un orecchio mentre Pablo se ne fregherà altamente e continuerà a fare all’amore con la prossima modella. Differenti visioni del mondo! Come si capisce che uno è un nordico impregnato di calvinismo e l’altro è uno spagnolo appassionato e libertino! Fatto sta che qui stanno nella stessa stanza. Coraggio. C’è moltissima gente.
Dopo aver visitato alcune sale, decidiamo di andare al ristorante The Modern a pianterreno per osservare l’arte moderna nel piatto. Il luogo è chic, la cucina, leggiamo, francese. Ci assegnano un tavolo dove cominciamo a leggere il menu.
Scegliamo tre piatti diversi ed ordiniamo ad un galante cameriere in frac. L’atmosfera è un poco affettata, non ci piace molto. Non prendiamo vino.
Attendiamo.
Attendiamo. Dopo circa un’ora, il cameriere pinguino si scusa, c’è un animale nel menu che abbiamo scelto che non riescono a… prendere, si va per le lunghe: “Assaggiate intanto questa Quiche Lorraine ”… al volo l’assaggiamo e… attendiamo… ancora tre quarti d’ora, ormai il caro animaletto se la sarà squagliata… ma non erano quaglie quelle che avevamo ordinato!
Giò ha già deciso… ce ne andiamo.
Ci alziamo, rimettiamo a posto le sedie mentre il cameriere in frac… sorry sorry sorry abbiamo un appuntamento… ancora con Picasso e Pollock… sorry sorry sorry.
Però, che stressati siamo, potevamo attendere un’altra oretta, in fin dei conti siamo in ferie!
Ritorniamo su, in terrazza, in una caffetteria con vista sui grattacieli. Anche qui, altra figuraccia perché alla fine ci dimentichiamo del Tip, cioè la mancia del venti per cento sulla consumazione, involontariamente, d’accordo, ma il cameriere è arrabbiatissimo, ne va del suo stipendio, pare infatti che sia formato, il suo stipendio, essenzialmente dai Tip dei clienti; ormai è fatta, quando mi rendo conto del perché delle parolacce, siamo già da Wharhol a gustarci le scatolette della sua minestra Campbell. Via, confondiamoci nella folla, follemente, filiamocela.
Usciamo dal giardino, salutati da Rodin e dal suo Balzac. A pensarci bene, ne ha fatta di strada il signor Auguste Rodin, ci sono sue opere dappertutto e nessuno ribadisce con fermezza che molte sono state realizzate dalla sua amante Camille Claudel, sorella dello scrittore Paul di cui per altro non leggerò mai nulla, per principio: come fratello poteva interessarsi della sorella Camille e non farla finire in manicomio; chissà se nell’aldilà, avrò modo d’incontrare il suo spirito perché mi piacerebbe proprio sentirle raccontare la sua vita, quella profonda, quella che “ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole”. Rodin, Rodin, finché hai potuto hai rosicchiato, poi, tanti saluti e baci… e fu subito sera…
C'è anche la capra di Picasso ...